Pellegrini, bandiera dimenticata
Il numero 7 giallorosso si è ripreso la Roma nella giornata sportiva più importante della Capitale, il derby. Dopo un estate turbolenta e un avvio di campionato da separato in casa, Pellegrini ha ritrovato il campo, il gol e il calore della sua gente.
9/22/20252 min read


Nel calcio le giocate cambiano le partite, ma ci sono partite che possono cambiare intere stagioni. Vale per le squadre e per i singoli calciatori. Il gol che ha indirizzato il derby di Roma è una pennellata a tinte giallorosse che porta la firma di chi quei colori ha dimostrato di averli incisi nell’anima, non solo sul petto. Le lacrime di Lorenzo Pellegrini sono quelle di un capitano - perché tolti i formalismi di Gasperini, è ciò che il numero 7 resta -, con il cuore rotto da una crisi personale in cui giocatori della sua specie fanno fatica a ritrovarsi. Il calcio moderno esalta e rimpiange la figura della ‘bandiera’, per attaccamento e rarità. Il romano di Roma rappresenta però qualcosa in più, in una città che non vive di compromessi.
Pellegrini non ha avuto e non avrà le stimmate dell’idolo giallorosso a prescindere. Totti, De Rossi, Claudio Ranieri, da bandiere sono diventati simboli del romanismo, l’espressione di un popolo che non fa sconti. Ma se di bandiere se ne reclama estremo bisogno, serve restare vigili quando si presentano, specie nei momenti decisivi. Il derby della Capitale, che decisivo lo è a prescindere, ha emanato il suo verdetto proprio come nella scorsa stagione, consegnando ancora una volta, a Pellegrini e al giudizio della sua gente, le redini di un destino perseguitato dagli infortuni e dalla continuità ma con ancora tanto da dare alla Roma.
Non passi in secondo piano l’aspetto tattico, dove l’ex capitano resta l’unico trequartista puro e di piede destro in un reparto costellato di mancini. Dybala, Soulé, Baldanzi e il nuovo arrivato Bailey. El Shaarawy resta il solo - insieme ad El Aynaoui - a poter differenziare la trequarti alle spalle di Ferguson, eppure senza avere l’imprinting del fantasista. Fosse arrivato a Trigoria un giocatore alla Sancho, in estate corteggiato dai Friedkin, i ragionamenti sarebbero differenti. L’ex tecnico dell’Atalanta ha la necessità di valorizzare - o cercare di farlo - ogni elemento della rosa, e se per Baldanzi e Dovbyk, dati fino alla fine del mercato per partenti, le possibilità restano minime, Pellegrini ha dalla sua un’occasione tattica favorevole.
In una fase di nuovo corso come quella iniziata dal ciclo Gasperini, il carattere identitario del gruppo non può trasformarsi in elemento secondario. Non a Roma.
Insieme a Mancini, Cristante ed El Shaarawy, Pellegrini costituisce il cuore di un gruppo, avendo intrinseco l’amore per una squadra e dei colori che costituiscono casa. “Non posso recuperarlo da solo” avverte Gasperini, che pure lo manda in campo al suo primo derby da allenatore della Roma. Un attestato di fiducia, ripagata da Pellegrini che segna il suo quarto gol nel derby della Capitale nella stessa porta che gli aveva dato l’opportunità di rinascere anche nella passata stagione.
Una rete vissuta con le lacrime di un leader ferito, abbracciato da un gruppo di ‘fratelli di sangue’ - come lui stesso ha definito Mancini nell’immediato post gara - che non gli hanno voltato le spalle, riaccogliendolo nel suo momento più bello. Pellegrini è una bandiera dimenticata, con una storia diversa rispetto ad altri giocatori, omaggiati e di rado criticati. Ma nel suo essere romano c’è un carattere che comprende quanto sia viscerale il legame tra i suoi tifosi e il campo, perché equivale a un sentimento che coinvolge anche lui, e che in giornate e momenti importanti si fa sentire ancora di più. Pellegrini cercherà di riprendersi tutto, togliendosi il peso della bandiera dimenticata e diventando in maniera definitiva simbolo del calcio giallorosso.
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